IL MONDO AI TEMPI DI TRUMP

La vittoria di Trump, dopo la Brexit del 23 giugno, è un altro brutto colpo per il mondo intero, un mondo che ancora una volta sceglie di chiudersi in se stesso, un mondo che dimostra di avere paura di quello che sta oltre i confini azionali, sia che siano merci, sia che siano persone.

I cavalli di battaglia di Donald Trump sono stati quelli del riportare indietro le lancette della storia, cancellando i trattati di libero scambio già in essere e opponendosi alla stipulazione di nuovi, come il TTIP o il TPP.

Oltre ad una chiusura dei confini economici, il candidato repubblicano ha sbandierato la lotta all’emigrazione, l’islamofobia e la costruzione di muri.

La paura di un mondo sempre più diviso si fa più forte, ma perché tutto questo?

Lo scenario a cui stiamo assistendo è la rivolta dei “perdenti della globalizzazione”, di coloro che hanno visto la loro condizione economica peggiorare notevolmente negli ultimi anni, spesso a causa di delocalizzazioni, altre volte a causa della rivoluzione tecnologica.

I perdenti della globalizzazione sono il frutto di una mondializzazione non controllata, di una politica che ha perso il comando dell’economia a favore della finanza.

Tutto ciò sta mettendo a repentaglio la solidità delle democrazie liberali e occidentali e sta rappresentando il successo delle ondate populiste che si fanno abbindolare dagli slogan di quelli del “si stava meglio quando si stava peggio” .

Di fronte a ciò le classi dirigenti non si possono tirare indietro, devono occuparsi di coloro che in questi anni hanno sofferto, dimostrandosi capaci di adottare politiche pubbliche per ridurre le disuguaglianze e le ingiustizie sociali.

Tuttavia l’occidente deve rimanere il luogo dell’apertura, il luogo che spalanca le porte alle persone e alle merci, perché come diceva Frédéric Bastiat “dove non passano le merci, passeranno gli eserciti”.

Andrea Silvagni

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