IMMIGRAZIONE : PROBLEMATICHE E PROSPETTIVE

di Stefano Balestri

Parlare di immigrazione oggi risulta essere notevolmente divisivo nell’opinione pubblica. Ci sono motivazioni ancestrali, biologiche di cui si parla raramente affrontando questa problematica. L’altro, il diverso da noi, può costituire un potenziale pericolo e quindi dobbiamo allontanarlo o allontanarci. La competizione per il cibo, l’acqua, un luogo più favorevole per stanziarsi, fin in epoca paleolitica, costituiva un motivo per scacciare, combattere, uccidere gli avversari di altri gruppi. Ciò rappresenta una forma di difesa che la natura ha fornito all’uomo per una autoprotezione indispensabile a quei tempi dove la sopravvivenza fisica era continuamente minacciata. Questo sistema genetico ancestrale non è del tutto scomparso e viene applicato ogni qualvolta ci sembra di intravedere un potenziale pericolo. Ma se questo elemento “ biologico” è da considerare quando prendiamo le distanze “dall’altro da noi”, le questioni culturali, sociali e politiche oggi hanno un peso predominante.

La problematica dell’immigrazione verso il nostro Paese e più in generale verso l’Europa, non può risolversi in due aspetti tra loro nettamente contrapposti: gli immigrati devono essere tutti accolti indistintamente o respingiamoli e chiudiamo i confini. Sono due posizioni che non permettono di individuare lucidamente i termini della complicata problematica, né trovare soluzioni praticabili. Al di là di affermazioni “dei professionisti della paura” che non hanno una corrispondenza con la realtà ( invasione, malattie, criminalità, portano via il lavoro agli italiani . . .), è necessario inquadrare la problematica partendo dai numeri. In Italia ci sono 5 milioni di stranieri che rappresentano l’ 8,3% della popolazione totale. Se poi allarghiamo il dato alla UE, su 500 milioni di europei solo il 6,9 % è costituita da immigrati. Sono soprattutto giovani, infatti se tra gli italiani gli anziani sono il 23,4%, sono solo il 3% tra gli immigrati. Il Pil prodotto dagli stranieri è di 127 miliardi, pagano 11 miliardi di contributi previdenziali ogni anno che equivalgono a 640 mila pensioni italiane. A tal proposito il Presidente dell’Inps Tito Boeri ha recentemente dichiarato: “Chiudere agli immigrati ci costerebbe la perdita secca di 38 miliardi per i prossimi 22 anni, una manovra aggiuntiva annuale”- Nei successivi sette anni di crisi ( 2008- 2015 ) il Pil complessivo è calato del 7,3% ma sarebbe sceso ancora di più, cioè del 10,3%, senza i lavoratori immigrati. Gli stranieri lavorano soprattutto nei servizi il 50.7 % e in particolare nella ristorazione e come badanti e ciò risulta molto importante altrimenti questi servizi sarebbero più costosi con un aumento dei disagi perché attività poco allettanti per gli italiani. Altri dati, utili a fare chiarezza al di là di giudizi dati sul fenomeno immigrazione su base puramente emotiva e che non tengono conto della realtà effettiva, dicono che la stragrande maggioranza, come già affermato, è giovane quindi le entrate sono di circa 16,5 miliardi e le uscite di 12,6 miliardi, quindi con un saldo attivo per le nostre finanze pubbliche di circa 4 miliardi. In un convegno del Censis dal titolo “L’integrazione nella società molecolare”, risulta che senza la presenza degli stranieri avremmo una scuola pubblica con 35000 classi e 68000 insegnanti in meno, saremmo senza 693.000 lavoratori domestici e 449.000 imprese. Inoltre dobbiamo rilevare che la presenza di 197 comunità diverse, non ha provocato quei fenomeni di rivolta sociale che tanti paventavano. Allora possiamo stare tranquilli? Non esistono o non esisteranno problemi?

Certo, problemi ci sono e ce ne saranno, non possiamo tacerli, in particolare se i flussi migratori dovessero aumentare in misura abnorme. Comunque, quelli attuali sono gestibili. Problemi nasceranno se diversi Paesi della UE continueranno a non accogliere le loro quote di immigrati assegnati e favorire processi di integrazione. L’Italia sta facendo la sua parte, ma Paesi come la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria e altri, alzano muri ( l’Ungheria) e si oppongono all’accoglienza. La cosiddetta “invasione” è uno slogan che nei dati non ha ragione di essere; infatti un dato tratto da La Repubblica del 27.10.2016, parla che il numero di cittadini italiani residenti all’estero ha superato quello dei cittadini stranieri residenti in Italia: dai dati Istat sono 5 milioni e 26 mila gli stranieri residenti nel nostro paese nel 2015 contro i 5 milioni e 200 mila italiani che risiedono all’estero. Da ricordare che nel 2015 sono emigrati 200 mila italiani un numero molto più grande degli stranieri che sono arrivati, cioè 153.842. Purtroppo l’Europa non ha ancora attuato quell’approccio unitario che avrebbe favorito enormemente i processi di integrazione degli immigrati come del resto far comprendere agli stranieri il pieno rispetto delle leggi del nostro Stato . A tal proposito un altro mito da sfatare è che non c’è stato alcun aumento dei reati rispetto al maggior afflusso di immigrati, secondo le dichiarazioni del Capo della polizia Franco Gabrielli e sulla base degli ultimi dati. La proposta di legge d’iniziativa popolare denominata “Ero straniero” (si stanno ancora raccogliendo le firme), se approvata, apporterà soluzioni praticabili all’integrazione. Riporto tra gli altri, tre punti significativi: 1. Accoglienza diffusa in realtà di piccole dimensioni investendo su integrazione e lavoro, valorizzando le forze produttive del territorio e mettendo i centri per l’impiego nelle condizioni di erogare servizi per il lavoro e le politiche attive per tutti, da finanziare con fondi europei. 2. Regolarizzazione su base individuale degli stranieri integrati, a fronte di una attività lavorativa o di formazione, di legami famigliari, come avviene in Spagna e Germania. 3. Canali diversificati di ingresso per lavoro, a partire dall’introduzione di un permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di un lavoro. In questa direzione un aspetto interessante della recente legge Minniti- Orlando, è quello dell’impiego dei richiedenti protezione internazionale in attività socialmente utili che possono svolgere volontariamente e gratuitamente a favore della comunità che li ospitano. Dice inoltre la legge: “I prefetti d’intesa con i Comuni e le organizzazioni no-profit, dovranno promuovere iniziative finalizzate all’impiego dei richiedenti. A tal fine i Comuni possono predisporre progetti da finanziare con risorse europee destinate al settore dell’immigrazione e dell’asilo.”

Sono già molti i Comuni che operano in tal senso impiegando immigrati in attesa di una definizione del loro status, nella pulizia di strade e giardini, piccoli lavori di manutenzione, in centri per anziani e altro. Come del resto, purtroppo, sono numerosi i Comuni che rifiutano la loro quota di immigrati che a seconda del numero degli abitanti risulterebbe di poche persone e facilmente gestibili.

In ogni caso il fenomeno immigratorio dall’Africa non si arresterà finché quel continente non risolverà le condizioni di povertà socio-economica che lo attanagliano e di cui noi Occidentali abbiamo storicamente grandi responsabilità legate allo sfruttamento coloniale e al neocolonialismo economico. Risulta quindi sempre più urgente, come scrive Fabrizio Gatti su L’Espresso del 18.7. 2017, “ . . . promuovere con Bruxelles un Piano Marshall africano, che agisca come il famoso European recovery plan degli Stati Uniti. I governi europei stanno già spendendo miliardi di Euro in missioni militari e di polizia a Sud del Sahara, ma senza risultati dimenticando che soltanto la sicurezza economica può contrastare l’emigrazione o il reclutamento nelle formazioni terroristiche che hanno destabilizzato intere regioni.”

 

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